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Centro ospedaliero in Congo

La zona interessata da questo progetto è un’enclave della parrocchia di Masuika (7 Comunità di base e 170.000 abitanti) nella Diocesi di Luiza (33.524 kmq e 2.262.000 abitanti), Regione amministrativa del Kasai Occidentale a sud-ovest della Repubblica Democratica del Congo. Essa è delimitata a Sud dal confine con la Regione del Katanga e si trova all’incrocio tra due fiumi, Lulua e Luiza, che la isolano praticamente dal resto della Regione in quanto non ci sono ponti che riescano a collegarla ai principali centri urbani.

Nonostante la posizione sfavorevole è una zona con una popolazione, di circa 42.000 abitanti, molto attiva e laboriosa che ha sempre cercato di darsi da fare per il proprio sviluppo, specialmente con l’agricoltura ed il piccolo commercio.

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IL PROGETTO
Il progetto, che consiste nella sua totalità in una struttura multifunzionale, comprende, oltre ad un Centro sanitario, una chiesa, un convento per le suore che gestiranno la struttura, e una scuola professionale (taglio e cucito, falegnameria e scuola di edilizia) per ragazzi disagiati. Tale struttura darebbe maggior impulso allo sviluppo culturale, umano ed economico di questa regione abbandonata a se stessa.

Foto 1 Centro sanitario
IL CENTRO SANITARIO
La gente di queste comunità, Kalala-Diboko e Musefu, ha una grande emergenza: non esiste nessun ospedale, ma neppure un ambulatorio e raggiungere l’ospedale più vicino significa attraversare il fiume con gli unici mezzi a disposizione, che sono piroghe fatte con i tronchi di alberi, e fare a piedi o in bicicletta 26 km. I fiumi sono insidiosi e caderci dentro spesso significa morire divorati dai coccodrilli. La distanza di 26 km dall’ospedale se per noi, che abbiamo auto e ambulanze, non è un problema, per una partoriente con problemi significa la morte quasi sicura della mamma e del bambino. Quando don Raymond, Parroco di Dogana e responsabile del progetto, nell’estate 2016 è andato in Congo per mettere a punto il progetto, ha visto morire davanti ai suoi occhi due bambini piccoli, una donna durante il parto e un ragazzino di 16 anni che gli avevano portato durante la notte perché pregasse su di lui e che poi è spirato verso le 9,00 di mattina. Se ci fosse stato un centro sanitario in quella zona, purtroppo isolata, forse si sarebbero salvati. Di fronte a queste situazioni si capisce il dramma e l’ingiustizia che subisce questa povera gente e non si può rimanere indifferenti.

E’ per questo che abbiamo deciso di costruire il Centro Sanitario: per affrontare le emergenze, perché ci sia una maternità, una sala operatoria. Abbiamo definito il progetto, ci sono i responsabili, c’è una suora medico che si è resa disponibile per dirigere il centro, abbiamo cominciato i lavori, ma abbiamo bisogno di collaborazione perché progetti così impegnativi si realizzano solo insieme, unendo le forze.

Foto 2 Centro sanitario
LA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO
Il progetto è partito nel 2016 e dopo la prima fase della fabbricazione di mattoni, alla fine della quale si erano ottenuti 110.00 mattoni, si è scatenato un conflitto armato che ha messo a fuoco e ferro tutto il Gran Kasai e ha coinvolto pesantemente la popolazione civile, le strutture educative, sanitarie e pastorali, principalmente quelle cattoliche. Dopo la decapitazione di due funzionari dell’ONU, i caschi blu presenti in Congo da più di 30 anni si sono finalmente decisi di interporsi tra esercito e miliziani. Le statistiche ufficiali parlano oggi di 5.000 morti, molti dei quali decapitati, 1.600.000 rifugiati per lo più in Angola o in altre zone del paese. L’UNICEF ha lanciato un appello per l’aiuto a più di 500.000 bambini a rischio morte per fame.

A metà di settembre 2017 si è tenuto a Kananga (capoluogo del Kasai Central) un “forum” per la pace nel Gran Kasai per parlare di riconciliazione. Lo Stato ha promesso l’impegno per lo sviluppo e il consolidamento della pace che rimane ancora precaria.
E’ chiaro che in questo contesto di scontro armato i lavori al Centro sanitario sono stati sospesi per un certo periodo, senza conseguenze per i fondi raccolti e il lavoro fatto. . Ma si sa anche quanto valgono le promesse dello Stato in quel Paese, come in tanti altri paesi africani.

Foto 3 Centro sanitario
Questa situazione però ci ha anche fatto capire la forte necessità e la bontà del nostro progetto per contribuire a salvare molte vite umane minacciate dalle conseguenze nefaste dell’atroce conflitto, in particolar modo la vita dei bambini.
Siamo stati, quindi, felici del fatto che i lavori dalla metà di maggio 2018 sono ricominciati e, a dicembre 2018, sono stati fatti i grezzi dei 4 padiglioni e sono stati completati i tetti per affrontare la stagione delle piogge senza danni. Nel contempo l’Associazione sta lavorando al reperimento di un camion e di un pick up usati, indispensabili per le fasi successive di costruzione e per abbattere i costi di trasporto, nonché al reperimento del materiale necessario per finire gli edifici (piastrelle, vernici, materiale per gli impianti elettrico e idraulico) e per l’allestimento del Centro ospedaliero (letti, mobilio, arredamenti vari, attrezzature sanitarie, strumentazione medica).

Sul posto, oltre al Responsabile Martin WIDJILOWU, ci sono due ingegneri che seguono i lavori del centro sanitario.

Foto 4 Centro sanitario

AGGIORNAMENTO SUI LAVORI

L’impegno per il completamento del Centro ospedaliero è continuato con grande sforzo e nonostante le difficoltà legate al Covid-19 che, fra le altre cose, ha causato un’impennata dei prezzi e la difficoltà a trovare materiali come il cemento. A ottobre 2020 tre padiglioni su quattro sono praticamente finiti, rimane da completare il quarto padiglione, gli impianti idraulici ed elettrici, tinteggiare, montare i pavimenti e altri lavori esterni. Sono stati acquistati ed inviati i pannelli solari indispensabili per fornire l’energia elettrica, altrimenti non presente nella zona. E’ stato reperito tutto il materiale per la sala operatoria e la sala parto, per la degenza da 30 posti letto, piastrelle, vernici e tutto quello che serve per l’allestimento di un centro ospedaliero. Tutto questo è già stato spedito con un container. Rivolgiamo un caloroso ringraziamento alla Fondazione Graziana Graziani e alla Famiglia Geri per aver reso possibili questi progressi!

Ora ci aspettano altri impegni e altri oneri, come il trasporto sul posto del container che si trova a Lubumbashi. Confidiamo sempre nell’aiuto e nella generosità dei sammarinesi, che non ci hanno mai delusi!

 

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